Una macchina narrativa perfetta, nei cui meccanismi è facile (no: inevitabile) rimanere prigionieri. Fino all’ultima pagina. Il nuovo noir di Massimo Tallone: un cold case dentro cui è bello naufragare.
Elisa Sanelli, giovane e dotatissima pittrice nella Torino degli anni Novanta, cresciuta in un collettivo di artisti insediato in un’ex fabbrica abbandonata, muore avvelenata in circostanze misteriose, a 27 anni (come Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain…). Le indagini e il processo non riescono a dare un nome all’omicida. Anni dopo Francesca, la voce narrante, accetta suo malgrado di scrivere la storia della giovane pittrice avvelenata, per incarico di un conte eccentrico, biografo dell’eterogeneo gruppo di artisti fra i quali si è sviluppata la tragedia, in un groviglio di tensioni affettive, vibranti ed equivoche. Elisa, solitaria e siderale, è morta a causa del suo straordinario talento o per la sua ambigua relazione con Ginevra? Oppure per l’invidia del padre, che non le avrebbe perdonato di essere più brava di lui? Chi sta cercando a tutti i costi d’impedire a Francesca di ricostruire le circostanze dell’omicidio e raccontare in un libro gli ultimi giorni di Elisa? E ancora: chi muove i personaggi come marionette sulla scena del dramma?
«Forse, a occhi superficiali, Ginevra non appariva molto bella, signor giudice. E invece era bellissima. Il fascino crudele dei suoi occhi e dei suoi modi guerrieri ghermiva tutti, subito, e li impauriva. Era impossibile resistere a quella sorta di radiazione nucleare che emanava. Era evidente che avrebbe potuto far compiere le imprese più audaci e folli a chiunque, purché lei l’avesse deciso. Soltanto Elisa era al tempo stesso soggiogata dal suo fascino e al di sopra di lei e della sua forza attrattiva. Ricordo bene la prima volta che Elisa, opponendosi all’amica, sedette con un cauto sorriso sulla poltrona di velluto rosso. Nello sguardo sulfureo e nero di Ginevra, ferma sulla soglia della loro stanza, mi sembrò di veder brillare un bagliore rosso.»