Niente di personale è la routine del killer, che deve sapere tutto della vittima per poter scegliere il momento migliore per agire. Anche se qualcosa non torna.
Torino, giugno 1990: l’estate, i Mondiali di calcio. Dante Finazzi, cinquant’anni, professione killer, riceve un nuovo incarico. Lui è il migliore. È un cane sciolto e ha un metodo a prova di errore, affinato negli anni. Mai un problema, uno sbaglio, mai lasciata una traccia dietro di sé. Però questo è un caso particolare, e prova uno strano disagio. Non solo perché, per la prima volta, la vittima designata è una donna. C’è pure il fatto che ha deciso: sarà l’ultimo lavoro prima di mollare tutto e cominciare una nuova vita in Sudamerica. Dante si mette in caccia e comincia a osservare da vicino Petra König. Affitta una stanza di fronte alla casa della donna, la spia, la fotografa giorno e notte (soprattutto la notte), la segue. Entra nella sua vita senza essere visto, vive con lei fino a restarne pericolosamente affascinato (e a te, lettore, accadrà lo stesso, come in una lunga, insinuante soggettiva).
«Era andato avanti così per circa vent’anni, senza fraternizzare né mischiarsi con le organizzazioni che gli davano il lavoro. Tutti conoscevano il suo stile e sapevano che era libero di tirarsi indietro, se non era convinto dell’incarico affidato. Dante Finazzi era un cane sciolto e non ricattabile. Il dottore annuì e tirò fuori dal cassetto della scrivania una busta gialla. ‘D’accordo, Finazzi. Questo è il soggetto di cui si deve occupare’ E spinse la busta gialla verso di lui. Finazzi la aprì e prese la foto in bianco e nero contenuta all’interno. La guardò e fece fatica a trattenere un moto di sorpresa. Poi girò l’istantanea e lesse pochi riferimenti scritti a mano sul retro: Petra König, via Giacosa, 21, quarto piano. Non gli era mai capitato di dover uccidere una donna.»