Un noir metropolitano violento e pessimista, senza etica né legge, dove i confini tra bene e male sfumano in un’incerta zona d’ombra. Una narrazione incalzante, che sfida le regole del genere.
Marcello Giangossi, alias Giango, è un maresciallo dei carabinieri in congedo. Ma la pensione non ha estinto il fuoco sacro dell’investigazione, il delitto continua a esercitare su di lui un’irresistibile fascinazione. Così, quando a Torino avviene un massacro di ’ndrangheta, Giango torna in pista. Anche perché una delle vittime è sua figlia Marina. Al dolore immediato subentrano ben presto la rabbia, il desiderio di capire e di farla pagare a chi gli ha portato via quel che di bello gli restava nella vita. E siccome gli sforzi dei carabinieri non ottengono risultati, Giango decide d’indagare per conto proprio, nel giro delle ’ndrine che ben conosce. Comincia un gioco duro, pericoloso, in cui tutti hanno qualcosa da perdere.
«Sulle scale calco bene in testa il cappello impermeabile, la tesa floscia cela la fronte. Avvolgo la sciarpa sulla bocca: sono mascherato a dovere, non temo le telecamere che vigilano sull’ingresso. Fuori dalla caverna, eccomi nel buio della via, rischiarato dalle pozze di luce che sul marciapiede disegnano le vetrine di un kebab curdo e un minimarket bengalese. Mister Ray-Ban è venti metri più avanti. Dal giubbotto cava fuori le chiavi della 500 che ha parcheggiato quasi all’angolo, dinanzi alla lavanderia gestita da un egiziano. Ho controllato, sono fortunato, l’angolo non è presidiato da telecamere. Accelero, al bastardo lascio il tempo di aprire la portiera, salire. Sta accendendo il motore, sobbalza, dice ‘Ma che minch…’. Allibisce, boccheggia come un pesce, lo sguardo affascinato sulla pistola che gli punto al petto. ‘Zitto e fermo.’ Siedo al posto del passeggero, ordino ‘Parti. Piano. Una cazzata, sei morto’.»